Il 27 novembre all’Upad il sogno segreto di Victor Frankenstein

Interessante iniziativa proposta dalla Fondazione UPAD che, in collaborazione con l’associazione Ascolto Giovani e il Movimento Universitario Altoatesino, propone martedì 27 novembre, alle ore 10.30, un incontro dibattito con l’antropologo torinese Massimo Centini presso l’Aula Magna del Liceo scientifico Torricelli, con la presenza del Rettore dell’Università di Bolzano Prof. Paolo Lugli, suggestivi momenti di ascolto saranno curati da Alessandro Tacchetti, il quale leggerà alcuni significativi passi del celebre racconto, l’incontro verrà riproposto alle ore 18.00 presso la sede UPAD, in via Firenze, 51 a Bolzano. Mercoledì 28 novembre, alle 10, l’incontro verrà replicato presso l’Auditorium del Pluricomprensivo di Bressanone, in collaborazione con l’associazione De Pace Fidei, l’istituto professionale “E. Mattei” e  l’istituto Falcone e Borsellino e Liceo Dante Alighieri di Bressanone, con relatore il teologo don Paolo Renner. L’occasione del bicentenario della pubblicazione del romanzo di Mary Shelley ”Frankenstein, o il moderno Prometeo” ha ispirato l’UPAD che ha colto volentieri l’opportunità di proporre una tematica intrigante e affascinante, attuale e antica al tempo stesso. L’ambiziosa speranza di riuscire a creare la vita è rintracciabile in tutte le culture di ogni tempo ed esprime il bisogno dell’uomo di dimostrare la sua capacità di controllare la natura, al di là del mito, della religione, della magia e forse anche della scienza. Dalla figura mitologica di Prometeo all’Homunculus di Paracelso, dal Golem della tradizione cabalistica all’ “insospettabile” Pinocchio, dall’intuizione letteraria del mostro di Mary Shelley fino ad arrivare ai recenti traguardi raggiunti dalle biotecnologie, dalla genetica e dalla chirurgia: una storia parallela che, tra scienza e fantascienza, vede perseverare l’uomo nella sua corsa alla creazione. Forse il “morbo di Victor Frankenstein” non è solo una trovata letteraria, ma una possibilità concreta. Questi gli argomenti che saranno trattati nell’esposizione di Centini e che non mancheranno di animare e stimolare il dibattito.

 

Innanzitutto, chi è Massimo Centini?

Massimo Centini, torinese, 63 anni, si laurea in antropologia culturale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Ha alle spalle numerose pubblicazioni con Mondadori, Rusconi, San Paolo, Xenia, Piemme e numerose altre case editrici, alcune delle quali tradotte in varie lingue. Con la casa editrice Yume ha recentemente pubblicato Frankenstein, la scienza e la follia. Uomini e mostri tra scienza e mito: si tratta di un editore particolarmente attento alle tematiche borderline, in cui la storia e la scienza sono spesso state oggetto di false interpretazioni mitiche. Ha dedicato approfonditi studi alle cosiddette culture primitive, svolgendo ricerche sulle pratiche rituali e religiose e indagini e studiando le fonti meno note sulle tradizioni popolari. E’ titolare della cattedra di Antropologia Culturale presso l’Università Popolare di Torino.

 

Professor Centini, perché Frankenstein?

Credo perché costituisca un testo decisamente molto moderno, più di quanto si creda. Si tratta di andare oltre ai luoghi comuni, che scaturiscono da questo classico. A differenza di tanti altri, ha la prerogativa di essere universalmente noto poiché è stato trasformato in soggetto di molteplici adattamenti cinematografici, che ne hanno in parte alterato l’autentica dimensione poetica, privilegiando gli aspetti scenografici e le carature horror. La non conoscenza della fonte originale, ha inoltre consolidato la convinzione, diffusa per molto tempo, che Frankenstein in realtà fosse la Creatura, l’orrendo essere frutto di ibridazioni anatomiche e impossibili che ha trovato la sua icona immortale in Boris Karloff. La Creatura spaventa e affascina: ci pone al cospetto di un sogno e di un incubo. Quell’essere che dovrebbe rappresentare il desiderio antico come l’uomo di abbattere la morte, di fatto si trasforma in artefice di morte.

 

Quest’anno è per Frankenstein un anniversario…

Frankenstein or the Modern Prometheus fu pubblicato nel 1818, anonimo, ma l’autrice era Mary Shelley, che l’aveva scritto nel 1816, a soli diciannove anni.

 

Quale fu la sua ispirazione?

Prese vita a Cologny, dove la donna era ospite a Villa Diodati, sul lago di Ginevra; con lei Byron Percy Shelley, futuro marito di Mary, la sorellastra Clara, ex amante di Byron, lo scrittore Gregory Lewis e William Polidori, medico di Byron e scrittore.

Tra i membri del gruppetto andò via via consolidandosi un forte accordo intellettuale, basato sui comuni interessi, che trovava libero sfogo in lunghe e accese discussioni, intessute di fantasie, di voli pindarici sui territori insaziabili del sapere. Fu una brutta estate, piovosa, quasi autunnale, che costrinse Byron e gli amici a trascorrere lunghe ore nella villa: Lewis, buon poliglotta, tradusse e lesse una serie di racconti tedeschi di fantasmi e mostri. Byron, forse condizionato da quelle letture, propose agli amici di cimentarsi in una gara letteraria: “Ognuno di noi scriverà una storia di fantasmi” disse. Solo l’opera di Mary supererà le barriere del tempo.

 Frankenstein è paragonato a Prometeo, l’eroe mitico: quali le motivazioni?

Prometeo si macchiò di un grave crimine ai danni della divinità: rubare il segreto dell’energia raccolta nel fuoco. Gli uomini hanno poi visto in lui il cosiddetto eroe culturale, figura presente in tutte le mitologie del mondo, che viene indicata come l’artefice di conoscenze divenute fondamentali per le società in cui può anche essere sacralizzato e in qualche caso divinizzato. Come sappiamo, a seguito della sua arroganza e del suo ardire, Prometeo fu castigato con una pena terribile, ma passa spesso sottotraccia un altro aspetto non meno punibile per il totalitarismo degli dei dell’Olimpo: il fuoco era a lui necessario per dare vita alle statue che costruiva, così perfette da sembrare vive. Il fuoco per Prometeo è come l’elettricità per Frankenstein: in fondo anche lui cerca di sottrarla agli dei, acquisendo la potenza del fulmine che di fatto sarà l’energia necessaria per infondere la scintilla capace di attivare la vita in quella sorta di mosaico di parti anatomiche nel quale riverbera il sogno impossibile dello scienziato.

 Frankenstein quindi commette un grave peccato, prima ancora di incappare in un errore scientifico?

Sul piano etico, l’impresa di Frankenstein risulta un disastro, ma ciò non sembra interessargli, poiché quanto egli cerca, la vittoria sulla morte, produce un obnubilamento, lasciando libero spazio alla sua faustiana ricerca di potenza più che di verità. Vi è però un aspetto che lo scienziato non ha considerato: la consapevolezza della Creatura di essere ciò che appare, quindi un essere mostruoso; come l’uomo di Milton si rivolge allo scienziato come al suo peggior nemico: “Maledetto creatore! Perché hai generato un mostro tanto ripugnante da cui persino tu ti sei allontanato pieno di disgusto?”

Quell’essere che avrebbe dovuto essere espressione oggettiva della vittoria della scienza sui limiti della materia, è solo il risultato di un’illusione ben presto trasformata in tragedia. E così la presunzione di “infondere vita in un corpo inanimato” ha di fatto ricondotto alla morte, producendo però ulteriore sofferenza.

La fine è scontata?

Dal suo stadio di inferiorità iniziale, il “mostro” passa attraverso una fase di crescita che lo conduce in breve tempo a comprendere la sua dimensione effettiva: da quel momento saprà di desiderare più di ogni altra cosa al mondo un confronto con il suo creatore. Quel confronto produrrà dolore a molte persone, fino al tragico epilogo al Polo Nord, quando, dopo tanto inseguirsi, i due si perderanno senza ritorno nell’oblio del gelo e in una tetra atmosfera di morte e disperazione.

La scienza ha perso la sua battaglia contro la morte: quella battaglia che forse la Shelley credeva potesse un giorno essere vinta?

Forse, visto che emblematicamente nella la prefazione al libro – nell’edizione del 1818 – affermava: “L’evento su cui si basa questa storia è stato ritenuto, dal dottor Darwin e da altri fisiologi tedeschi, non impossibile”. Noi ci limitiamo a constatare che la geniale scrittrice ha indubbiamente dato inizio a un nuovo modo di pensare la fantascienza.  Questo libro vorrebbe essere l’occasione per “pensarci”, triangolando le nostre considerazioni su alcuni esempi della letteratura e della tradizione che costituiscono un corpus indicativo dell’umano desiderio di creare la vita, per un bisogno antico che convoglia la mitologia nel pensiero scientifico e, qualche volta, genera la follia.